Oggi vi racconto una storia, una storia senza tempo, dove l’immaginazione e la realtà corrono veloci inseguendosi scherzose.
Talvolta alcune mie storie rimangono intrappolate, come in una ragnatela, con la promessa di liberarsi al momento giusto, ma non prima di aver oziato un pochino e aver tessuto a dovere tutti i particolari e gli avvenimenti. Ora è arrivato il momento per una di queste di uscire ed è la storia de “Il Giardino della Signora dei Tulipani”.
Durante una passeggiata il vostro sguardo è mai stato catturato all’improvviso da un giardino? Non mi riferisco all’ingenuo clichè del “giardino segreto”, chiudete gli occhi ed immaginate invece un puro atto d’amore verso i fiori.
Ecco come decifrai le mie sensazioni la prima volta che vidi il Giardino della Signora dei Tulipani.
Dove vivo io una camminata nella natura si traduce in un lungo percorso lungo l’argine del fiume, un territorio ricco bellezze e di verde, lì dove le province di Venezia e di Padova avanzano a braccetto, nel bene e nel male. Proprio qui, fino a non troppo tempo fa, il piccolo giardino della Signora dei Tulipani sublime brillava in un incanto di colori: incredibile il contrasto tra la natura incolta dell’argine e le aiuole armoniose che custodivano nel loro grembo fiori di piante bulbose ordinati a gruppi. Questo giardino abbagliava per la sua maniacale pulizia, non un’erbaccia osava spuntare timidamente dalla terra scura ed era tutto ricamato da sentierini di terra nuda, dove passarci in mezzo si ritornava ad essere bambini di campagna che giocano con foglie e terra.
Nello sfondo si ergeva maestosa un’antica Villa veneta adornata da un lungo muro di mattoni rossi, di quelli che si trascinano negli anni le storie di chi li ha costruiti e poi pazientemente posati uno sull’altro fino a creare un lungo divisorio rosso. A fare da guardiano un monumentale Tiglio secolare, piantato forse a segnare quello che era l’antico confine tra il mio e il tuo.
I primi fiori ad attrarre la mia attenzione furono le bulbose – tipiche delle coltivazioni olandesi – protagoniste dai caratteri forti (indossano colori sgargianti anche quando i toni vertono al tenue) e dalle forme statiche e piene. Lì accanto scorreva il fiume, sicuramente il piccolo giardino della Signora dei Tulipani godeva dell’asciutto legato all’importante dislivello tra radici e acqua, ma allo stesso tempo si avvantaggiava dell’umidità che questo rilasciava nei lunghi momenti di siccità: è noto che le bulbose regolano l’acqua in maniera differente dalle erbacee, tanto che spesso mi sono chiesta se la Signora scelse di dedicarsi ai bulbi proprio per il prezioso aiuto che il fiume le avrebbe dato.
Un giorno finalmente vidi la Signora dei Tulipani: una donna robusta con un grande cappello in testa a ripararla dai forti raggi del sole primaverile. Era accucciata intenta nel suo passatempo preferito, o per lo meno il suo passatempo più comune, ossia sradicare erbacce. La voglia di conoscerla era tanta, avrei voluto farle mille domande sui bulbi che coltivava, capire se la Villa nello sfondo era la sua casa e se era vero che il fiume era un fedele amico dei suoi fiori, questo perché il mio spirito aveva bisogno di sentire la sua voce dare alla mia immaginazione le conferme che cercava da tempo.
Per il poco tempo che mi diede a vederla, la Signora dei Tulipani sembrava un tipo piuttosto schivo, non si curava degli sguardi o delle attenzioni della gente, lei impiegava il suo tempo tenendo pulito il suo piccolo angolo di paradiso. L’essenziale era coltivare l’armonia del suo verde, che fosse per sé stessa o per gli altri non aveva importanza.
Quando la vedevo sembrava assorta in meditazione, il suo corpo lavorava incessantemente, ma lei non era lì: come in una confidenza esclusiva, mi piaceva immaginarla quand’era bambina, persa a giocare con le farfalle immersa in un mare di steppe alte che quasi la nascondevano, di lei scorgevi solo il cappello – lo stesso cappello che da grande usò per ripararsi dal sole cocente – e tornava a casa solo a sera al richiamo della madre.
Ma il richiamo che sentiva nella realtà non era quello della mamma, bensì quello del marito, quell’omone che trascorreva le giornate una in fila all’altra coltivando il grande orto adiacente al Giardino. Poi ogni sera la stessa frase “Dai, andiamo! É quasi il tramonto!”, così la Signora dei Tulipani prendeva l’annaffiatoio, si affrettava ad abbeverare l’ultima aiuola ed insieme tornavano a casa camminando vicini, dove il sole tramonta.
Passavo di lì spesso, più osservavo il Giardino e più mi innamoravo della sua armonia e del suo equilibrio: ammiravo come aveva coordinato la sequenza delle fioriture riuscendo a dare continuità per mesi in così poco spazio, il tutto con una pulizia esemplare. Narcisi, muscari, tulipani, giacinti, iris bulbose, tutti disposti in gruppi diversi, in gioiose aiuolette delimitate da tondi sassi di fiume che creavano delle raggianti macchie di colore. Era un giardino molto impostato, eppure era tutto molto piacevole ed elegante, forse perché la coltivazione di vari tipi di bulbi dava un senso estetico legato al tema.
Finalmente un giorno riuscii a conoscerla, anzi fu proprio lei a rivolgermi la parola! In quel momento fui pervasa dalla felicità, non avevo mai osato fare il primo passo perché temevo di disturbarla e non avevo il coraggio di interrompere il suo minuzioso lavoro di pulizia. Da quel giorno tutte le volte che passavo di lì mi fermavo a scambiare due veloci chiacchiere con lei, cercando sempre di non portarle via troppo tempo, sebbene fosse chiaro che parlasse volentieri con me. La mia premura voleva che lei non rinunciasse a neanche un minuto del suo piacere quotidiano di immergersi in quel silenzio assoluto, le mani nude nella terra, il profumo forte dei tulipani ed il sole che le scaldava la schiena sotto la protezione di quel grande cappello e dell’ombra di quell’enorme Tiglio secolare.
Non perdevo mai occasione di chiederle chiarimenti sulla coltivazione dei bulbi da fiore, per me lei era una vera esperta: quando lavori per anni con lo stesso genere di piante impari a conoscerle e capisci ogni loro stato, non esiste il corso o la scuola di una materia così intima, quando hai a che fare con le meraviglie della terra, esiste il metterci le mani e il cuore.
Esattamente non so per quanti anni La Signora dei Tulipani si prese cura del suo giardino, io lo scoprii che stava volgendo al fine, quando era diventato bello ricco di tutti i fiori che lei aggiungeva di anno in anno.
Mi chiedo in quanti abbiano apprezzato realmente quello che lei fece: il Giardino era visibile a tutti, quando avrebbe potuto tenerlo solo per sé frapponendo una brutta siepe di Cipressi Leylandii, e invece scelse di condividerne la bellezza con i suoi concittadini. Dopotutto quello non fu altro che un piccolo gesto d’altruismo di una semplice donna che sembrava aver dedicato la sua vita a quel piccolo fazzoletto di terra.
Per chi lo ama, il giardino è un percorso, il paragone della vita stessa: nasce, si arricchisce di piante, si vanno a creare strade ed angoli di pace, si tiene libero dalle erbacce che lo insidiano, si gode a vederlo crescere e cambiare.
Da qualche tempo ormai la Signora non torna a più al suo giardino: la porta è rimasta aperta dalla sua ultima visita, talvolta qualcuno ci entra ma nessuno si cura dei suoi bulbi, che ora fioriscono facendosi spazio tra le erbacce, vivono immersi nella brulla campagna ai confini con l’argine, affacciati alla natura selvaggia, sotto la protezione del grande Tiglio secolare.
Tutte le volte che torno al Giardino e lo vedo abbandonato mi torna sempre in mente quel cappello che emergeva tra i tulipani, quelle aiuole di bulbose con fioriture alternate per ogni stagione, quella pulizia perfetta, quell’amorevole pazienza di saper coltivare e aspettare che il tempo faccia il suo corso. Ora più lo guardo e più mi rendo conto che nessuno può fermare la natura, con l’aiuto delle stagioni i fiori continuano a sbocciare scandendo lo scorrere inesorabile dei mesi e mi fanno capire che ogni ciclo è una rinascita, un nuovo cammino verso uno splendente domani.
Senza le amorevoli cure della Signora dei Tulipani quel piccolo angolo verde da tempo ormai non è più un Giardino, ma i fiori sono meravigliosi proprio per il loro riserbo e come teneri gattini attirano i passanti che si fermano a coccolarli, li osservano, li fotografano e li liberano dalle soffocanti erbacce. Chissà quei bulbi quante storie avrebbero da raccontarci, quel Giardino per me non è solo un posto meraviglioso, ma è un luogo dell’anima: l’ho visto crescere, fiorire e mutare, mi ha fatto conoscere il mondo delle bulbose, mi ha rallegrato nei momenti bui e ha condiviso la mia felicità nei giorni lieti.
Ora so che è lì da solo, il cancello è stato chiuso ma da un sol fil di ferro che nessuno ha più il coraggio di sciogliere, e poi la rete che manifesta il grande vuoto all’interno di un segno sgangherato, lui paziente aspetta di rinascere e io attendo trepidante di sentire quella voce, “Anna!”.
Presa da un atto d’amore, con le mani sporche di terra, forse un giorno scriverò nuove pagine di colori e profumi, tra erbacce da togliere e quell’annaffiatoio che ancora resiste e che farà risplendere il Giardino come quando lo osservai per la prima volta.
Magari lo guarderemo con gli stessi occhi.
Magari gli occhi saranno gli stessi.
Anna